In tema di recupero dell'IVA assolta a seguito di una nota di variazione in diminuzione errata,
al fine di garantire la neutralità dell'IVA, in linea generale, non si ravvisano impedimenti
all'applicazione dell'articolo 60 ultimo comma del decreto IVA anche all'ipotesi in cui in capo
al cedente sia stata accertata una indebita detrazione dell'IVA relativa ad una nota di
variazione emessa tardivamente. Lo ha reso noto l’Agenzia delle Entrate con la risposta a
interpello n. 858 del 22 dicembre 2021.
Con la risposta a interpello n. 858 del 22 dicembre 2021, l’Agenzia delle Entrate ha fornito
chiarimenti in tema di recupero dell'IVA assolta a seguito di una nota di variazione in diminuzione
errata.
L'articolo 8 della legge 20 novembre 2017, n. 167 "Legge Europea 2017" ha introdotto l'articolo 30-
ter del decreto IVA, che attualmente definisce il sistema di recupero dell'IVA indebitamente versata.
La norma, al comma 1, consente al soggetto passivo di poter presentare domanda di restituzione
dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del
versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto
per la restituzione.
Più particolare si presenta la previsione contenuta nel comma 2 dell'articolo in esame, che prende
in considerazione il caso in cui sia intervenuto un accertamento definitivo da parte
dell'Amministrazione finanziaria, che abbia individuato un debito di imposta inferiore rispetto a
quella versata.
Testualmente il comma in commento prevede che nel caso di applicazione di un'imposta non dovuta
ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva
dall'Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o
prestatore entro il termine di due anni dall'avvenuta restituzione al cessionario o committente
dell'importo pagato a titolo di rivalsa.
Per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il
rimborso dell'IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al
cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa.
I due anni entro i quali presentare la richiesta di rimborso dell'IVA non dovuta decorrono dal
momento in cui avviene la restituzione al cessionario/committente della medesima somma da lui
versata per effetto di accertamento definitivo.
In questo modo viene ripristinata la neutralità dell'IVA, senza costringere il cessionario o
committente - che ha versato all'erario, a seguito di accertamento, l'IVA che aveva indebitamente
detratto - ad esperire un'azione giudiziaria nei confronti del cedente o prestatore, dal momento che
il presupposto per la richiesta di rimborso si realizza in capo al cedente o prestatore proprio con la
restituzione dell'imposta non dovuta in favore del cessionario o committente.
Le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 30 del decreto IVA, nonostante la lettera della norma,
possono applicarsi specularmente anche al caso in cui è il cessionario o committente a dover
chiedere all'erario il rimborso dell'IVA a debito erroneamente versata, una volta restituita al
cedente/prestatore l'imposta accertata in via definitiva dall'Amministrazione finanziaria» che
quest'ultimo gli aveva pagato per effetto della nota di variazione.
La finalità sottesa all'introduzione della norma, ovvero l'esigenza di salvaguardare la neutralità IVA,
infatti, impone di riconoscere analoga tutela restitutoria in favore del cessionario o committente, lì
dove, invece, l'accertamento abbia origine dal disconoscimento in capo al cedente o prestatore
della detrazione dell'IVA restituita con una nota di variazione erroneamente emessa. In detta
circostanza, i due anni entro i quali il cessionario/committente può presentare la richiesta di
rimborso dell'IVA non dovuta decorrono dal momento in cui avviene la restituzione al
cedente/prestatore della medesima somma da lui versata per effetto di accertamento definitivo volto
a disconoscere la detrazione dell'IVA restituita con la nota di variazione errata.
In merito invece, alla possibilità di ricorrere, in via subordinata, all'articolo 60, ultimo comma, del
d.P.R. n. 633 del 1972, detto comma - così come modificato dall'articolo 93 del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1 "Decreto liberalizzazioni", convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1,
comma 1, legge 24 marzo 2012, n. 27 - è volto a ripristinare la neutralità dell'IVA in caso di
accertamento o rettifica dell'imposta.
Testualmente la norma stabilisce che il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della
maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o
dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta,
delle sanzioni e degli interessi.
In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la
dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la
maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione
della originaria operazione.
La citata disposizione, introdotta per garantire la conformità delle disposizioni interne ai principi di
neutralità e di detrazione, previsti dalla normativa comunitaria in termini di caratteristiche immanenti
all'intero sistema dell'IVA, consente al contribuente, che ha subito un accertamento ai fini IVA, di
riaddebitare a titolo di rivalsa al cessionario/committente la maggiore imposta accertata e versata.
Già in precedenza, la circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013 aveva precisato che in base alla
nuova disposizione il contribuente può esercitare la rivalsa dopo aver effettivamente pagato
all'Erario l'imposta accertata, le sanzioni e gli interessi. Essa prevede, inoltre, che l'esercizio del
diritto a detrazione da parte del cessionario o committente sia subordinato, in deroga agli ordinari
principi, all'avvenuto pagamento dell'IVA addebitatagli in via di rivalsa dal cedente o prestatore.
In tal modo è scongiurato l'ingiusto arricchimento che il cessionario o committente conseguirebbe
se detraesse l'imposta senza provvedere al suo effettivo pagamento. La norma mira a ripristinare,
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anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto
di detrazione consentendo il normale funzionamento dell'IVA, la quale deve, per sua natura, colpire i
consumatori finali e non gli operatori economici.
Al fine di garantire la neutralità dell'IVA, in linea generale, non si ravvisano impedimenti
all'applicazione dell'articolo 60 ultimo comma del decreto IVA anche all'ipotesi in cui in capo al
cedente sia stata accertata una indebita detrazione dell'IVA relativa ad una nota di variazione
emessa tardivamente, in violazione del disposto di cui all'articolo 26, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633
del 1972.
Anche in tale ipotesi, infatti, si configura in capo al cedente un recupero dell'imposta da parte
dell'Amministrazione cui consegue il diritto del cedente di rivalersi in capo al cessionario che, a sua
volta, potrà esercitare la detrazione dell'imposta restituita al cedente alle condizioni esistenti al
momento di effettuazione della originaria operazione.
Nello specifico occorre, tuttavia, verificare se sussistono le condizioni che consentono la detrazione
ai sensi dell'articolo 19 del decreto IVA avuto riguardo all'operazione originaria. Orbene, la
detraibilità dell'imposta recata dalle fatture che documentano l'operazione originaria è quantomeno
dubbia, in ragione della pendenza di un contenzioso tributario avverso l'atto impositivo emesso a
seguito di verifica fiscale.
Ne consegue che il contribuente- riversata l'IVA al fornitore - nelle more dell'esito finale del
contenzioso, non potrebbe comunque detrarre l'imposta «alle condizioni esistenti al momento di
effettuazione della originaria operazione» come stabilisce il citato articolo 60, ultimo comma, del
decreto IVA, essendo il diritto stesso a detrarre ancora da definire.